DailyNet 24/11/2017

Si è svolta ieri a Milano la sesta edizione di ADay, “Display the future – Universi paralleli. Digitale è reale?”, organizzata come sempre da 4w Marketplace. A fare gli onori di casa Roberto Barberis, amministratore delegato dell’azienda, il quale ha voluto sottolineare l’intento formativo dell’incontro, con l’obiettivo di aprire una riflessione sullo stato del mercato e dare risposte ai grandi temi che caratterizzano il digital advertising. L’indagine di 2B research Lo scopo dell’indagine commissionata da 4w Marketplace a 2B research è stato quello di definire il rapporto tra digitale e reale. Sul palco sono saliti Guido Argieri e Maria Luisa Bionda, che hanno illustrato i principali risultati emersi dallo studio il cui approccio ha combinato una dimensione qualitativa con un’altra quantitativa, con un campione di 800 casi rappresentativo degli utenti digitali 16- 75. «Oggi la popolazione di internet è sempre più rappresentativa di quella italiana», ha esordito Argieri prima di raccontare come viene percepita oggi la comunicazione di marca. Per quanto riguarda il mondo delle app, così come per il mobile browsing, l’esposizione alla comunicazione di marca è inferiore rispetto a desktop. «Un dato che fa riflettere viste le abitudini di fruizione degli utenti, sempre più legate al mobile», ha proseguito. Quando si parla di comunicazione di marca, gli intervistati hanno citato un brand nel 70% dei casi. Il ruolo della televisione Nell’ambito dello studio è affiorata con prepotenza la permanente importanza del mezzo televisivo: il 79% crede cha la comunicazione tv sia in grado di emozionare. Il digital, invece, è funzionale a stimolare un contatto successivo. E se la pubblicità non ci fosse più? «Il 63% ne sentirebbe la mancanza in tv, un valore che si abbassa fino al 25% per internet», ha dichiarato ancora Argieri. Sul fronte dei formati sono i banner quelli che generano maggiore ricordo rispetto ai video e ad altre tipologie di annunci. Da segnalare come la soluzione più fastidiosa sia il pre-roll (48%). In generale le persone non amano formati che interrompono la fruizione dei conte nuti e in questo contesto «il video è ancora alla ricerca di una sua identità», chiosa Argieri. Autonomia, personalizzazione e fastidio L’atteggiamento verso la pubblicità da parte del campione intervistato da 2B research denota una generale richiesta di autonomia e personalizzazione. Da una parte, infatti, gli utenti preferiscono contattare direttamente le aziende in prima persona piuttosto che subirne la comunicazione, «un fatto ancor più vero per i baby boomers», precisa Argieri. Dall’altra, il tema della personalizzazione è centrale: le comunicazioni devono essere taylor made. Infine, i baby boomers tendono a giudicare l’advertising come un’interruzione nell’ambito del processo di fruizione dei contenuti. Contenuti a pagamento Nell’ultimo periodo sono diverse le testate, locali e internazionali, che hanno attivato modelli, seppur differenti tra loro, di paywall. Ma le persone sono realmente disposte a pagare? Il 7% effettivamente lo è, mentre il 22% si limita a dire “probabilmente sì”. Il rimanente 70% afferma di “no” o “probabilmente no”. Un’altra evidenza descritta dalla ricerca riguarda i dati e la privacy. Ed è interessante notare come in molti siano disposti a cedere le proprie informazioni in cambio di un vantaggio. Per quanto concerne il permesso ai cookie, i millennials sono la fascia più “aperta” mentre i baby boomers sono quella più chiusa. «Nella comunicazione il valore non risiede più solo nel messaggio – ha spiegato Maria Luisa Bionda -, come è stato per molto tempo, ma nel consumatore, in quello che si caratterizza come un vero e proprio scambio tra quest’ultimo e la marca». La ricercatrice è tornata anche sul tema dell’emozione: «La televisione ha un linguaggio audiovisivo, più semplice da interpretare, mentre internet è un ambiente più complesso, dove è dunque meno semplice coinvolgere l’utente».