ADVExpress del 7/5/2014

Questo ciò che è emerso da un coinvolgente e partecipato confronto, in occasione del primo Benchmark Day italiano promosso da Ebiquity a Milano, su un tema noto alle aziende ma relativamente al quale preferirebbero maggiore trasparenza per la costruzione di un modello condiviso basato su comportamenti etici e virtuosi. Anche l’Italia ha avuto il suo Benchmark Day. Promosso nel nostro Paese dalla società di media auditing Ebiquity, l’evento nasce con l’obiettivo di riunire attorno allo stesso tavolo tutti gli attori del mondo dei media e farli confrontare su un argomento di stretta attualità e rilevanza. Tra i partner dell’evento Absolut, ADVexpress e Centoeventi. Parola d’ordine dell’edizione italiana: Trasparenza. “E’ inspiegabile come nonostante i fee riconosciuti dalle aziende alle agenzie media siano in costante diminuzione, i profitti di queste ultime siano in costante aumento”: l’88% del campione di investitori pubblicitari intervistati lo scorso anno dalla World Federation of Advertisers (cui anche UPA aderisce) si diceva d’accordo con tale affermazione. Ed è da questo punto che è partito Nick Manning, presidente di Ebiquity International, che ha aperto il pomeriggio di lavori facendo il punto sul tema della Trasparenza, oggi più che mai ‘scottante’ a livello mondiale. E secondo il Transparency Index elaborato proprio da Ebiquity per la WFA, quello italiano, pur non essendo uno dei peggiori (sul podio sono Cina, Messico e Brasile) è in ogni caso il mercato considerato meno trasparente fra quelli europei. “In uno scenario sempre più complesso e frammentato – ha spiegato Manning -, in cui si moltiplicano i device, i canali, i tool di ricerca e gli stessi partner di comunicazione, le aziende hanno bisogno di ritrovare il filo logico e il senso di quanto sta accadendo per riuscire a ottimizzare i propri investimenti. E oltre che le aziende, questo scenario mette sotto pressione le stesse agenzie, che devono fornire quotidianamente nuovi e più adeguati servizi”. Il passaggio che ancora va fatto, ha dichiarato Manning, è dunque che i clienti riconoscano il valore e l’impegno crescenti dei centri media, accettando di remunerarli in modo corretto. E dall’altro che i centri media diventino totalmente trasparenti nei loro rapporti con le aziende. E questo nell’interesse dell’intera industry. I Dn al centro del dibattito. All’intervento di Manning è seguita una tavola rotonda moderata dal presidente di ADC Group, Salvatore Sagone, di fronte a una platea composta dal ghota del media nazionale, cui hanno partecipato Paolo Maggi, Head of strategic media planning UniCredit Group, Marco Muraglia, Chariman Starcom Mediavest e Arcangelo Di Nieri, Ceo Ebiquity Italy. Concentrandosi sul mercato italiano, il tema della trasparenza ha immediatamente assunto le vesti dei Diritti di negoziazione (Dn). Date le premesse, non poteva che nascerne un dibattito acceso e fortemente partecipato da parte del pubblico di addetti ai lavori che ha colto la palla al balzo per affrontare l’annosa questione con la giusta vivacità perchè ne uscissero interessanti spunti di riflessione volti alla costruzione di un modello più etico e virtuoso. UniCredit ad esempio sta andando verso la direzione che, a detta dei più, sembrerebbe la più corretta. Spiega Paolo Maggi, : “L’intelligence appartiene al centro media, motivo per cui è giusto riconoscergli una fee adeguata al servizio corrisposto. Questo abbiamo definito in fase contrattuale con Mediacom, che provvederà a restituirci gli ‘sconti’ ricevuti dalle concessionarie. La nostra è una scelta di valore, più rischiosa ma etica e in grado di ridare all’industry del media il suo ruolo consulenziale.” (Guarda su ADVexpressTV la video intervista a Paolo Maggi). Per Marco Muraglia, i DN oggi non sono più un tema scottante come 10 anni fa ma “una realtà economica nota che rappresenta una conversazione a due con tre soggetti in campo. Starà poi agli accordi tra cliente e agenzia media definirne la gestione. Per me in Italia oggi è mediamente un argomento molto trasparente quello dei DN. La confusione è creata forse più dal fatto che non esistono regole condivise” “I DN esistono in molti paesi, con nomi diversi e gestioni che determinano differenti gradi di trasparenza” continua Maggi e precisa ai microfoni di ADVexpress Tv (guarda l’intervista video): “In Italia purtroppo è ancora dominante, lato aziende, il principio dell’economicità ripetto a quello del valore. Questo ha prodotto una riduzione ai minimi storici delle fee riconosciute al centro media” Il vero problema nasce proprio dall’erosione graduale della remunerazione del centro media da parte del cliente, che negli ultimi anni ha raggiunto livelli talmente bassi da non essere sostenibile per la sopravvivenza degli stessi. Ecco che a fronte di un pacchetto di servizi non adeguatamente remunerati, i DN rappresentano una forma di remunerazione aggiuntiva che rende sostenibile il modello di business del centro media che, anche in tempi di crisi, riesce così a produrre profittevoli conti economici. Da leva competitiva a elemento di remunerazione: per quali ragioni? Come sottolinea dalla platea il Direttore Generale Pubblicità di RCS MediaGroup Raimondo Zanaboni: “I DN sono nati come leva competitiva utilizzata da qualche player per emergere e percepiti come premi di volume. Con la diffusione del fenomeno oggi tutti li riconoscono ai centri media, diventando una remunerazione vera e propria. Così non è più chiaro. Quale la logica secondo la quale una concessionaria dovrebbe remunerare un centro media a fronte di nessun corrispettivo?. Sono completamente d’accordo sul fatto che il servizio offerto ai clienti dai centri media necessiti di una giusta ed equa remunerazione. Ma se questo non accade non è certo compito delle concessionarie compensare con i DN per sanare i conti economici dei centri media a scapito di quelli degli editori pesantemente gravati da questi costi.”  “Costi a volte molto diversi tra i vari mezzi e anche all’interno dello stesso mezzo tra concessionarie diverse” sottolinea Flavio Biondi, presidente IGPDecaux, e continua: “Questa diversità rischia di produrre naturali influenze sulle pianificazioni dei centri media.Ecco perchè già anni fa invocavo l’intervento del legislatore per regolamentare i DN a tutela soprattutto  di chi vende, mentre oggi credo che sia il mercato stesso a doversi autoregolamentare. Ma le regole ci devono essere.” Sulle regole concorda Marco Girelli, Ceo di Omnicom Media Group, che sposa la soluzione portata avanti da UniCredit, “remunerarci in maniera corretta rispetto al servizio offerto penso sia la via migliore per trovarci tutti d’accordo sul fatto di darci regole severe e uguali per tutti per generare un modello virtuoso e condiviso dal mercato relativamente ai DN”. D’accordo con Girelli e Muraglia, Roberto Binaghi, Chairman&Ceo di Mindshare, interviene però ricordando che al pari dei DN, molti altri ambiti devono essere ‘aggiustati’. Tra questi anche quello dei data pool degli auditor. “E’ sempre più difficile oggi che i centri media speculino sui DN. Siamo giudicati dagli auditor che verificano che compriamo al meglio per i nostri clienti.” E sul fronte delle aziende interviene Marcella Bergamini, Integrated Communications, Online & Offline Media Solutions and Buying Advisory Mellin – Danone Nutricia, con un ‘mea culpa’ anche da parte dei clienti stessi che, oltre a pretendere la giusta trasparenza dai centri media, dovrebbero imparare maggiormente a riconoscere il valore dei mezzi che comprano. Solo così si potranno portare avanti pianificazioni in coerenza con gli obiettivi fissati. Chiarita dunque la direzione migliore da intraprendere per ottenere maggiore trasparenza e una gestione più etica dei DN, per Maggi è ora il momento per concentrarsi sui Data: “Chiedo alle agenzie di aiutarmi a costruire delle esperienze sui dati generati dalle campagne. Conoscere le audience è la cosa più importante in un mercato frammentato come è quello dei mezzi oggi.”